L’ottenimento di un rimborso IVA può rivelarsi particolarmente oneroso. Il legislatore italiano, infatti, per tutelare la propria posizione in sede di rimborso, richiede che il contribuente a credito fornisca una garanzia. Ai sensi dell’art. 38-bis, comma 5, del Decreto n. 633/1972, tale garanzia deve essere prestata per 3 anni dall’esecuzione del rimborso oppure, se inferiore, per il periodo mancante al termine di decadenza dell’accertamento. Essa può assumere diverse forme come, ad esempio, titoli di Stato o polizze fideiussorie rilasciate da istituti di credito e imprese assicurative.
Questi ultimi strumenti, in particolare, sono i più diffusi e, al contempo, offrono un’ottima garanzia all’Erario, grazie alla solvibilità dei soggetti emittenti (banche ed assicurazioni). Tuttavia, le polizze fideiussorie hanno un costo che, apparentemente, potrebbe scoraggiare il contribuente dall’effettuare richiesta di rimborso. Tali costi, unitamente alla generalizzata inerzia dell’Erario nell’erogazione dei rimborsi IVA, hanno da sempre esposto i soggetti passivi che operano in Italia ad eccessivi rischi finanziari.
Quali sono i rimedi a tali rischi finanziari?
Questa situazione si pone in aperto contrasto con i principi dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio di neutralità fiscale sancito dalla Direttiva 2006/112/CE (o anche “Direttiva IVA”). È consolidato orientamento della Corte di Giustizia, infatti, che gli Stati Membri debbano garantire ai soggetti passivi il diritto a recuperare la totalità del credito IVA senza incorrere in alcun rischio finanziario (ex multiis causa C-387/16). L’eventuale svantaggio economico in cui è incorso il contribuente per l’ottenimento di un rimborso IVA deve sempre essere compensato con il pagamento di interessi (causa C-107/10).
Al riguardo, l’inerzia dell’Italia nell’adeguare le proprie procedure interne di rimborso agli standard imposti dalla Direttiva IVA ha costretto la Commissione Europea ad avviare una procedura di infrazione (n. 4080/2013, in relazione all’art. 138 della Direttiva IVA).
La chiusura della procedura di infrazione
Al fine di consentire la chiusura della procedura di infrazione, il legislatore ha introdotto una disposizione (art. 7 della L. 167/2017) in applicazione della quale ai soggetti che chiedono il rimborso dell’IVA è riconosciuto un ristoro forfetario dei costi sostenuti per la prestazione della garanzia. Più precisamente l’importo rimborsato dall’Erario è pari allo 0,15% dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia.
Questioni aperte
La norma in esame presenta alcuni profili di dubbia compatibilità con il diritto unionale. Non sembra, infatti, giustificata la limitazione in via forfetaria (nella misura dello 0,15%) del diritto del soggetto passivo al ristoro dei costi sostenuti per l’ottenimento della garanzia.
Va, inoltre, sottolineato che l’ordinamento italiano già prevedeva una norma relativa al rimborso degli oneri fideiussori. L’art. 8, comma 4, dello Statuto del Contribuente, infatti, sancisce che “L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi”. Sebbene il decreto attuativo previsto dallo stesso articolo non sia mai stato emanato, la giurisprudenza di merito (da ultimo la sentenza n. 4113 del 17 febbraio 2021) ha più volte valorizzato tale disposizione, confermando il diritto al ristoro del contribuente.
Tra i pregi di tale norma, si segnala l’assenza di limitazioni al diritto al rimborso degli oneri tributari, nonché la portata generale della stessa, poiché applicabile a qualsiasi tributo.
2RCapital affianca le imprese nella gestione delle eccedenze di versamento IVA, scopri qui come.